V domenica di Pasqua: spunti di riflessione del nostro parroco Don Giorgio De Checchi

 

Il brano del vangelo di questa domenica si trova nel contesto particolare dell’ultima cena, momento di grande confidenza e di grande intimità: sono le ultime parole di Gesù ai suoi discepoli, sono parole che segnano e rivelano tutta una vita; l’evangelista Giovanni desidera farci capire che sono parole che segneranno definitivamente la sua stessa vita, quella dei suoi amici e pure la nostra e quella delle nostre comunità. 

Il Vangelo di domenica 10 maggio: Giovanni 14,1-12

Le parole di Gesù nell’ultima cena.

Un contesto di intimità, segnato dalla verità, Gesù aveva appena comunicato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro; aveva comunicato la sua “partenza” e le parole usate facevano presagire ad una morte violenta.

Un contesto segnato da profonda intimità, da verità …ma un momento che non si vorrebbe mai vivere: sperimentare il dono di un grande amore ed al contempo essere confrontati con il tradire questo amore, con le nostre fughe, con le nostre fragilità.

E poi …davvero se ne stava andando? Perché? Per le loro infedeltà?

Li stava abbandonando? Li avrebbe lasciati soli!?

Sarebbe tornato. Come? Quando?

E nel frattempo?

Domande sconcertanti quelle dei discepoli.

Domande sconcertanti che anche noi, in qualche modo, ci poniamo.

In questi capitoli dal 14 al 17, l’evangelista attraverso le parole di Gesù descrive il rapporto che Gesù ha con i suoi amici e con il Padre, allo stesso tempo prospetta anche a noi cosa sarà questo tempo: il tempo nostro, il tempo che noi ora viviamo.

Questo tempo è il tempo della comunità cristiana e, secondo l’evangelista, la prima cosa che la comunità cristiana deve fare è comprendere cosa vuol dire il fatto che Gesù se ne sia andato, cosa significa il fatto, assurdo, che Gesù abbia affrontato la passione e la morte in croce.

Un lascito.

“Non sia turbato il vostro cuore”. Per prima cosa Gesù desidera rassicurarci, è preoccupato per noi, non desidera che siamo in balìa delle nostre paure: “Io me ne andrò, ma state tranquilli”.

Il verbo utilizzato, tradotto in italiano con “turbare”, stava ad indicare il timore suscitato dalla tempesta in mare.

Siamo sempre come in mezzo al mare in tempesta. Per le nostre vicissitudini personali. Per il clima greve che spesso pesa sulle scelte importanti della nostra vita. Per il modo in cui gli arroganti e i pazzi giocano a minacciare la fine di ogni cosa. Per tutto ciò che non controlliamo, per questa situazione che stiamo vivendo, per tutto questo e per altro ancora la paura ci prende.

Vero: nelle vicende della vita molto spesso ci sentiamo come in mezzo ad una tempesta, sballottati dalle onde senza riuscire a governare la barca.

Gesù ha superato il turbamento soltanto con la fiducia nel Padre.

A ben vedere però il turbamento viene ad essere un’occasione per la crescita nella fiducia e nel coraggio. Cioè la fiducia in Dio diventa autentica solo se uno rimane turbato.

Se tutto va bene non ho bisogno di fiducia in Dio, le cose vanno bene, lo constato, non devo ricorrere ad alcuno, al massimo posso sperimentare gratitudine.

I turbamenti, come quelli che ha incontrato Gesù davanti alla morte dell’amico Lazzaro, davanti alla propria morte e davanti al rifiuto dell’amore da parte di Giuda, che lo vuole tradire, sono i turbamenti fondamentali che possiamo anche noi sperimentare.

Questi turbamenti per Gesù diventano il luogo dove lui, come Figlio, pone tutta la fiducia nel Padre e vive l’amore del Padre.

E’ un momento delicato il turbamento.

E in noi ci sono sempre insieme, nel nostro cuore, la paura e la fiducia,

però sono in proporzione inversa.

C’è sempre la paura: se uno non ha paura e non è turbato da alcunché non è saggio, è solo un incosciente o uno che ha fatto dell’idiozia stile di vita.

Senza alcuna volontà di giudicare, ma l’unico antidoto, l’unico ansiolitico efficace, l’unico tranquillante è la fede, così come la sfiducia è il miglior ansiogeno che ci sia.

La fede in Dio: quella fede che fa sì che io arrivi ad affidare la vita, non semplicemente la fede di quando le cose vanno bene e ci credo senza alcun problema.

È davanti agli sconvolgimenti che si vive la fede in Dio, è in quei momenti che sono chiamato tirar fuori la mia fede in Dio che dà la vita.

Gesù per quei momenti ci dice: “Non sia turbato il vostro cuore”.

Mentre tutta la nostra vita è una fuga, un allontanarci, ecco Gesù dice: “No, state tranquilli, torniamo a casa”, ci sono tanti posti nella casa del Padre, uno per ciascuno.

Le sue parole sono chiare, forti, incoraggianti: Dio ci vuole accanto a sé e Gesù ci conduce al Padre.

Ci chiede di restare tranquilli: “Continuate a credere in Dio e a credere in me”.

Una tranquillità quindi che viene dalla fede. Il credere consiste nel capire; il credere, la fede, non è qualcosa di generico – mi fido alla cieca, non so a cosa e non so perché – ma è comprendere cosa significa il suo andarsene.

Gesù se ne va perché in questo modo ci apre, ci indica, la via alla verità e alla vita in modo che noi sappiamo cosa fare: “Io sono la via, la verità e la vita”. 

Seguendo lui, seguendo la sua via, faremo la verità e ci immergeremo pienamente nella vita.

Come ci dicesse.

Nel continuare a credere in Dio e in me, seguendo la via che vi indico, scoprirete che il mio andarmene è un nuovo tipo di presenza in mezzo a voi.

Me ne sono andato, vi ho aperto la via, vi ho preceduto, vi ho preparato il posto, vi ho mostrato la via e attraverso di me voi, percorrendo lo stesso cammino, raggiungerete il Padre, vivrete nel Padre: lì troverete me e arriverete a gustare quello che per voi è preparato fin dal principio, il vivere in pienezza come figli del Padre.

La nostra casa è lì dove siamo amati.

La morte di Gesù che si affida totalmente al Padre e che ci ama come il Padre, ci svela che presso il Padre per noi c’è una dimora eterna.

Il suo amore mi dice dove sto di casa.

Nel cuore del Padre è la mia casa.

La stessa morte di Gesù è un ritorno a casa, al cuore del Padre, all’amore del Padre.

Quindi il primo senso della morte di Gesù è il ritorno alla casa del Padre.

Dove sto di casa? Qual è la mia identità, dov’è che io sono me stesso?

Gesù con il suo “andarsene” ci aiuta a capire la nostra identità, quella rivelata dall’amore che il Padre ha per noi, quello che il Figlio ci ha rivelato lavandoci i piedi, perdonando Pietro, dando la vita per noi. Quello è il nostro posto e ce lo prepara mostrandocelo.

Percepire in profondità di essere amato, accolto, non c’è nulla di più importante.

Sperimentare di esser compreso, che tutto ciò che ho vissuto, che ho fatto è stato capito, è stato accolto, è stato amato… quella è la mia casa, lì è dove voglio stare, da nessun’altra parte.

L’amore che Cristo mi ha rivelato mi dice chi è il Padre e che stare nel suo amore è “la mia casa!”

La morte di Gesù non è altro che l’aprirci la via al Padre.

Ci precede per farci capire qual’ è la direzione, ci indica il cammino, la via, della nostra vita.

Io sono la verità, la via non può essere che questa indicata da Gesù, nessun’altra ci porterà alla vita, perché è Lui la vita piena.

Il suo andarsene significa che lui va a prepararci un posto.

Il suo Spirito, ci sarà donato dalla croce, quello Spirito sarà forza per seguire le sue orme, per scoprire giorno dopo giorno i segni della sua presenza, per avere la determinazione e il coraggio di vivere la sua stessa vita.

Lui torna a noi, con il suo Spirito, perché noi possiamo essere dove è lui. 

Quindi quando parla del suo ritorno Giovanni non intende il ritorno di Gesù alla fine dei tempi, è quel ritorno che Gesù fa donandoci il suo Spirito, proprio quando sulla croce dona la vita per noi; amandoci fino a dare la vita, effondendo su di noi il suo Spirito dalla croce, fa sì che possiamo amarlo anche noi con lo stesso amore e l’amore fa star di casa insieme a Lui, uno abita dove ama.

Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”.

Lui è nel Padre, e noi siamo presso il Padre se abbiamo l’amore del Figlio, cioè se amiamo i fratelli.

Poi conclude: “E del luogo dove io vado, conoscete la via”.

La via è quella che Gesù ha indicato: l’amore che si fa servizio.

È la via dell’amore compiuto, è la via del lavare i piedi, è la via del dono, è la via del perdono, è la via che ci riconduce alla casa del Padre, è l’unica via, quella dell’amore che ci fa essere con lui e come lui. 

“Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”.

E poco prima aveva detto:

“Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo.

Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Gv 12,26)

…e dopo qualche versetto troviamo:

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui,

e faremo dimora presso di lui” (Gv. 14,23)

Sì forse ora è un po’ più chiaro, il perché “ci lascia”, il perché di fatto mai ci abbia lasciato, il come ci prepari un posto e forse anche qual è la nostra vera casa …forse.

Ma senza dubbio ci sarà ancora più chiaro nel momento in cui l’ascolto della sua Parola ci farà capaci di un servizio vissuto nello stile del Cristo; perché è Lui la via, che ci indica il cammino, è la verità che illumina ogni cosa ed è ancora Lui la vita che ci viene costantemente rinnovata dal suo immenso e fedele amore.